La consapevolezza rompe la modularità funzionale del cervello

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 21 marzo 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Tutte le teorie della coscienza umana hanno quale oggetto principale, implicito od esplicito, la consapevolezza; molte speculazioni filosofiche e psicologiche la assumono come punto di partenza, mentre la maggior parte delle elaborazioni neuroscientifiche considera un punto di arrivo la comprensione della sua base neurofunzionale. Molti neuroscienziati sono convinti che la possibilità di distinguere e descrivere aspetti e ruoli della coscienza derivi più da costrutti culturali ed abitudini mentali che da fondate evidenze sperimentali, pertanto secondo costoro il nucleo concettuale della coscienza, che corrisponde alla realtà neurale da decifrare, non è altro che un’astrazione dell’esperienza di consapevolezza. In fondo, la pensava così anche Francis Crick.

Per Gerald Edelman, che prendendo le mosse da William James si rifà a Natsoulas e Malcolm, la coscienza e la consapevolezza sono ben distinte, corrispondendo la prima ad un ambiente di elaborazione generato dai sistemi globali dell’encefalo[1] e la seconda ad un aspetto fenomenico della coscienza accessibile all’introspezione: “Non si può pervenire mediante introspezione ai meccanismi della coscienza, ma solo agli oggetti percepiti intenzionalmente e alle sensazioni. Inoltre la consapevolezza diretta (la «coscienza della coscienza», o la coscienza 4 di Natsoulas) è consapevolezza della percezione, non della sensazione. La coscienza, pur potendo avere un’unità fenomenica, è quindi uno stato eterogeneo, cosa che spiega forse la distinzione di Malcom fra usi intransitivi e transitivi della parola «coscienza».”[2].

Rimandando per un’introduzione allo studio della coscienza e per un’esposizione sintetica delle principali teorie neuroscientifiche allo scritto La coscienza e un interessante nuovo libro di Dehaene[3], vediamo come è stato affrontato il problema in un nuovo studio.

Godwin, Barry e Marois della Vanderbilt University di Nashville, nel Tennessee, affermano che il modo in cui il cervello genera la consapevolezza è stato uno dei problemi “più fondamentali ed elusivi in neuroscienze, psicologia e filosofia”[4]. Tale problema, notano i tre ricercatori, ha determinato il moltiplicarsi di teorie che differiscono per l’estensione proposta di variazioni corticali e sottocorticali associate alla consapevolezza, estensione che va da processi locali a cambiamenti globali nella connettività funzionale. Per operare un vaglio critico della fondatezza di tali costrutti teorici, uno strumento particolarmente adatto è dato dalla combinazione dello studio dell’attività dell’encefalo mediante risonanza magnetica funzionale con le cosiddette graph theoretical techniques. Proprio tale strumento, che consente di caratterizzare schemi globali di funzionamento attraverso la definizione di patterns di comunicazione dell’intero encefalo, è stato adottato da Godwin, Barry e Marois per studiare le basi neurofunzionali della consapevolezza di un obiettivo - un target - visivo.

I risultati dello studio dimostrano in maniera convincente la presenza di differenze funzionali di grande scala in rapporto con la consapevolezza di un target visivo, coerentemente con i modelli globali della consapevolezza (Godwin D. et al., Breakdown of the brain’s functional network modularity with awareness. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi:10.1073/pnas.1414466112, 2015).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Center for Integrative and Cognitive Neuroscience, Vanderbilt Vision Research Center, Vanderbilt Institute of Imaging Sciences, Vanderbilt University, Nashville, Tennessee (USA); Department of Radiology and Radiological Sciences, Vanderbilt University Medical Center, Nashville, Tennessee (USA).

[Edited by Michael S. A. Graziano, Princeton University, Princeton, NJ, USA].

Le teorie neurobiologiche della consapevolezza propongono prospettive divergenti circa l’estensione anatomica nel cervello dei processi necessari alla percezione cosciente. Le teorie focali sostengono l’importanza chiave di cambiamenti funzionali in aree circoscritte di specifiche regioni dell’encefalo; al contrario, le teorie globali[5] postulano l’emergere della consapevolezza dalla propagazione di segnali neurali attraverso una vasta estensione di corteccia sensoriale ed associativa. Godwin, Barry e Marois hanno testato l’estensione scalare dei cambiamenti cerebrali associati alla consapevolezza usando la graph theoretical analysis applicata ai dati di connettività funzionale acquisiti con una procedura avanzata (ultra-high field) mentre i volontari partecipanti agli esperimenti eseguivano un semplice compito di rilevamento di un obiettivo visivo (target) mascherato.

La normale modularità funzionale del cervello che si osserva in queste condizioni sperimentali, nella fase associata allo stato oggettivabile di consapevolezza dei soggetti, sembrava scomparire. Infatti, gli autori affermano che la consapevolezza di un target visivo è associata ad un diradarsi dell’attività delle reti cerebrali in senso modulare, sostituita da una crescente prevalenza della comunicazione intermodulare: un reperto di estrema evidenza.

Su questa base Godwin e i suoi due colleghi concludono che questi risultati forniscono una straordinaria evidenza sperimentale alla nozione di un cambiamento globale nella connettività funzionale del cervello quale base della consapevolezza.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-21 marzo 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Come ricorda spesso il nostro Presidente, Gerald Edelman ritiene la coscienza una realtà neurofunzionale con un ruolo diretto ed efficace (effective) nell’adattamento evolutivo e non un epifenomeno, ovvero una conseguenza epifenomenica di ciò che si è evoluto per ragioni e fini adattativi diversi.

[2] Edelman G. M., Il Presente Ricordato, p. 234, Rizzoli, Milano 1991.

[3] Note e Notizie 13-09-14 La coscienza e un interessante nuovo libro di Dehaene.

[4] L’affermazione è tratta dal paragrafo “Significance” dell’articolo recensito.

[5] Per maggiori dettagli sulle teorie neuroscientifiche della coscienza si veda, anche clickando sulla copertina, il citato articolo del 13-09-2014: La coscienza e un interessante nuovo libro di Dehaene.